NATO 2020 un mondo a misura di banchiere
sabato 12 gennaio 2013
un nuovo passo in direzione di una sardegna cayenna d'italia. Di pochi giorni fà, la notizia che le nuovissime strutture carcerarie di Uta e Bancali (SS), saranno destinate ad ospitare a breve 188 detenuti in regime di 41 bis. Si accelerano i tempi per ultimare le strutture destinate a questa particolare condizione detentiva, e non solo a Sassari e Cagliari, anche la nuova ala del carcere di Badu è Carros e le nuove carceri di Tempio e Oristano classificati dal DAP ( Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) come AS3 cioè di massima sicurezza. Si tratta in maggioranza di detenuti per reati di mafia e camorra e tra di essi non figura nessun sardo, nonostante le numerosissime richieste di avvicinamento dei parenti dei prigionieri isolani costretti a trasferte rare e costosissime. Nei piani del ministero infatti, questo trasferimento in massa ha come scopo principale aumentare l'isolamento carcerario trasformandolo anche in isolamento geografico. Nella testa dei funzionari dello stato italiano infatti, la Sardegna è ancora un isola di confino irraggiungibile da qualsiasi fenomeno esterno, infiltrazione mafiosa sul territorio compresa. Come se fossimo ancora nella fine dell '800 e non si sapesse cosa è successo in tutte le parti del territorio sotto il controllo dello stato italiano, quando si sono concentrati centinaia di mafiosi e camorristi nello stesso spazio. Altro punto interessante di questi avvenimenti è che tutti questi trasferimenti dal continente stanno iniziando a colmare le nuove mega galere sarde, continuando di questo passo le riempiranno entro quest'estate, quindi viene a saltare una delle giustificazioni "umanitarie" per gli investimenti in galere in sardegna, cioè lo spostamento e la chiusura di carceri strutturalmente indecenti come San Sebastiano, infatti se tutti i nuovi posti verranno, passateci il termine, occupati da trasferiti dal continente, dove dovrebbero andare a finire i carcerati stipati nei tuguri del ministero degli interni?
giovedì 8 novembre 2012
sabato 14 luglio 2012
mercoledì 11 luglio 2012
mercoledì 11 aprile 2012
Quattro nuove carceri in Sardegna, notizia non nuova, per quanto tenuta il più possibile sotto silenzio.
Uno di questi, sorge a pochi chilometri dalla città di Sassari (Bancali), 53 milioni e 710 mila euro di investimento affidato alla ditta Anemone, già costruttore del palazzo delle conferenze a La Maddalena in vista del G8, la quale si è conquistata le pagine della cronaca per un giro di favori, appalti e corruzione.
Ecco a voi, allora, un piccolo reportage sulla nuova galera di Bancali in costruzione dove si ospiteranno i detenuti comuni ma anche detenuti a regime di alta sorveglianza.
Si arriva alla galera prendendo la strada che da Sassari porta a Bancali, e da lì la camionabile per Porto Torres. Ve la troverete alla vostra destra, tra i verdissimi campi dove ancora qualche testardo preferisce coltivare la terra piuttosto che venderla. L’impatto visivo è devastante …. un mostro del genere non te lo aspetti proprio, un quartiere intero sputato sulla piana di Bancali, mura infinite, filo spinato ma soprattutto un sistema di controllo accurato fatto di telecamere e fotoelettriche ad ogni passo. Intorno il nulla un panorama piatto dove il gigantismo malato del nuovo mega carcere domina in maniera opprimente.
Allora ecco il consiglio per il prossima weekend: una bella gita al carcere di Bancali…chissà quante domande sorgerebbero davanti allo sfoggio di tale capacità di spesa e rapidità di realizzazione…
Ospedali? Scuole, case? Servizi o strade? Neanche un euro disponibile…
Per spedirvi in galera?... capitali illimitati.
mercoledì 7 marzo 2012
I numeri sembrano essere
diventati lo strumento con cui misurare la nostra vita, i nostri desideri, le
nostre miserie. E allora, ecco i numeri con cui lo Stato pensa alla Sardegna
dei prossimi anni: 15 radar, 4 nuove carceri, 517 ettari di terreno per la
nuova caserma della Brigata Sassari, 1.5 km di pista militare nella Poligono
Interforze del Salto di Quirra. Una nuova ondata di affaristi e speculazione?
Anche, ma soprattutto un nuovo modo di concepire l’isola secondo il documento
“Nato 2020 Urban Operations”. Perché?
NATO 2020 URBAN
OPERATIONS

Nato 2020, infatti, parte
da un’analisi del contesto socio-economico che si produrrà proprio a partire
dalla metà del 2000 per raggiungere la fase più acuta nel 2020: la popolazione
mondiale tenderà a installarsi sempre più nei grossi agglomerati urbani,
creando delle sacche di povertà che non troveranno risposta nelle politiche
sociali sempre più ridotte all’osso dagli Stati in grave crisi finanziaria. Una
vera e propria “urbanizzazione della povertà”[1] che
porterà gli Stati a doversi confrontare con una nuova minaccia: “gli
informali”, una massa di individui senza
sbocchi occupazionali e senza alternative di vita che rischierà di far
esplodere la propria disillusione in rivolte spontanee. Non dobbiamo
pensare alla massa in stile ottocentesco, fatta di senza lavoro, senza tetto
o poveri della strada, poiché in questa
nuova massa ci saranno anche i giovani figli di un lontano benessere, i
disoccupati non più riassorbibili dal mercato del lavoro per motivi di età, i
lavoratori precari; la disillusione sarà la loro costante, una generazione
allevata con la promessa di un futuro che si troverà invece senza alcuna
prospettiva possibile. Una disillusione che si rivolgerà tanto alla politica
istituzionale, quanto ai tradizionali strumenti di rivendicazione, dai
sindacati agli altri mediatori, visti come parte integrante di un sistema che
offre solo precarietà economica ed esistenziale. Il nemico (come viene chiamato
nel documento Nato 2020) da cui lo Stato dovrà guardarsi non sarà, quindi, lo straniero
lontano né tantomeno organizzato in un
esercito regolare; il nemico sarà
“interno e informale”, cioè presente dentro i propri confini e fuori da
strutture di mediazione che li renderanno difficili da gestire.
Basta guardare agli
avvenimenti di questi ultimi anni per capire che quanto veniva previsto in Nato
2020 non si discosta molto dalla realtà che stiamo vivendo, anzi sembra seguire
un copione già immaginato e ancora in corso d’opera. Davanti a questo nuovo
quadro internazionale, dove gli Stati si troveranno a dover gestire situazioni
di conflittualità dentro i confini urbani, Nato
2020 propone un nuovo ed articolato approccio repressivo (denominato manoeuvrist, ossia di manovra) con
l’obiettivo di prevenire le rivolte di questi irregolari ed evitare il contagio
tra i paesi. L’obiettivo è riattualizzare
le strategie di controllo e gestione della conflittualità sociale,
adattandole al nuovo contesto urbano per “frantumare la coesione e la volontà
di combattere” del nemico.

ELEMENTI DI METODOLOGIA
OPERATIVA

La nuova politica di controllo
si baserà, quindi, sui seguenti criteri:
* Comprendere: è la funzione che occupa, insieme alle successive due,
la posizione più importante perché rientra nella possibilità di prevenire il
conflitto e gestirlo nel momento in cui esplode. La conoscenza dettagliata del
territorio, tanto nella sua accezione fisica quanto in quella culturale,
diventa fondamentale al fine di tracciare
un profilo psico-sociale degli abitanti per individuare i potenziali nemici,
gli elementi neutrali e le figure socialmente rilevanti. In quest’ottica di
analisi del territorio rientra anche il ruolo svolto dalle scienze sociali
(sociologia, criminologia, psicologia, statistica ecc..) che con un lavoro
costante di mappatura offrono informazioni utili per un intervento militare mirato.
Non va dimenticata l’attenzione verso l’individuazione
delle “realtà insorgenti” le quali “operano nel mezzo di una popolazione da
cui sono spesso indistinguibili” che
possono fungere da catalizzatori della rivolta.
* Modellare: gestire lo
spazio per ottimizzare la mobilità dei militari sia per esigenze tattiche
sia per controllare e prevenire i movimenti del nemico e delle masse non
coinvolte nei combattimenti. In quest’ottica, si tenderà a isolare porzioni di
territorio sia per proteggere le infrastrutture utili sia per isolare il
nemico: particolare rilevanza viene assunta dall’isolamento informatico per
bloccare, anche attraverso il controllo dei campi elettromagnetici, le capacità
comunicative dei rivoltosi.
* Impegno: gestire una situazione di conflittualità prevede, non solo
l’attacco diretto alle forze nemiche in maniera selettiva e mirata, ma anche
gestire gli effetti del conflitto sulla popolazione non combattente. E poiché,
secondo Nato 2020, il campo d’azione va “dal conflitto su larga scala
all’assistenza umanitaria”, è necessaria una contiguità strettissima tra il piano militare e il piano civile. I
militari non saranno solo coloro che intervengono in lontani scenari di guerra
o con funzione repressiva, ma anche coloro i quali gestiranno le necessità dei
civili. Per meglio consolidare questa fusione tra civile e militare, diventa
importante radicare nell’immaginario
comune la figura del militare impegnato in operazioni umanitarie o nella
gestione del normale ordine pubblico. Abituati alla presenza dei soldati
nelle strade, negli stadi, nei quartieri, non avremo più la percezione di una
militarizzazione del territorio ma solo di una sua normale amministrazione dove
il militare diventa protagonista.
* Consolidamento: gestita l’esplosione del conflitto sociale, diventa
importante un’attività di disarticolazione
del nemico col fine di prevenire l’insorgere delle forze sconfitte; gli
strumenti saranno quelli della collaborazione con le autorità locali, del
mobbing up, ossia dell’epurazione dei nemici, e infine il trattamento dei
prigionieri relegati nelle nuove carceri.
* Transizione: tappa finale, il
ristabilimento della legge (“the rule of law”) attraverso la ricostituzione
delle autorità e degli eserciti locali che garantiscano una nuova condizione di
pacificazione sociale basata sul controllo costante e pervasivo del territorio
e su una messa al margine degli elementi riottosi.




UN
PASSO INDIETRO


Ecco perché diventa
necessario, in vista di tempi ancora peggiori di quelli attuali, che gli Stati
siano radicati militarmente nel territorio, pronti a gestire e soffocare i
venti di rivolta, mentre le Banche disegnano un nuovo modello sociale.

NATO 2020: RIATTUALIZZAZIONE DELLA STRATEGIA DI
DOMINIO IN SARDEGNA

L’idea di un nemico interno e informale, ad esempio, è stata fatta coincidere nel corso degli anni
con la figura del bandito, a giustificazione di vaste operazioni di occupazione
del territorio; basta pensare all’operazione
Forza Paris, con la quale si portarono centinaia di soldati nelle zone più
riottose ad accettare la presenza dello Stato, la Barbagia. Il nemico non era
il bandito, quanto le comunità sarde che rappresentavano una resistenza
culturale e sociale interna ai confini dello Stato e il cui territorio andava
presidiato, soprattutto in una situazione di crisi economica quale quella
vissuta nei primi anni ’90. L’obiettivo dell’operazione era militarizzare un
territorio in cui il malessere andava acutizzandosi, pronto ad esplodere in un
generale contesto di avversione all’ordine dello Stato. Per rendere la presenza
dei militari più accettabile l’operazione venne presentata come un’azione di
ordine pubblico e i militari coinvolti in numerosi atti a valenza sociale:
donazioni di sangue, eventi pubblici e dimostrazioni al fine di fornirgli un
volto rassicurante, sdoganando l’idea della presenza militare in soli contesti
di guerra e rendendoli socialmente accettati. Fusione tra militare e civile per una militarizzazione del territorio,
quindi, come cita uno dei cardini di Nato 2020.


MANUALE PRATICO DI
DOMINIO
Un discorso comune emerge
tra l’azione di dominio degli anni passati e quella che si sta costruendo nel
presente. Tre coordinate per radicare tra la gente la “normalità” del
controllo, quattro strumenti con cui dominare il territorio: radar, caserme,
basi militari e carceri.

Se al tempo erano i
banditi, oggi il nemico con cui giustificare la militarizzazione del territorio
è il terrorista o il migrante, tanto che
per sdoganare l’installazione dei radar si è invocato proprio lo spettro
dell’immigrazione. Il vero nemico dello Stato, in realtà, è interno ai suoi
confini, percepito come portatore di una potenziale conflittualità che può
contagiare l’intero tessuto sociale.
Secondo Punto – L’inserimento del
militare nel contesto civile


Terzo punto – Militarizzare il territorio

I RADAR

Il Radar ELM 2226 è in
grado di individuare un periscopio tra le onde e un piccolo gommone a 20 km di
distanza, capace di seguire e individuare più di 200 bersagli
contemporaneamente stabilendone la velocità, la direzione e le dimensioni. 16
verranno installati nelle coste Italiane da Almaviva S.p.a., di cui 4 in
Sardegna con un costo di 5.461.668,67 euro e gestiti dalla Guardia di Finanza.
Il Radar VTS o Radar
“Lyra”, modello “10” per il monitoraggio a breve raggio e il trasporto mobile;
ne verranno installati 90 da Selex Sistemi Integrativi, di cui 11 in Sardegna
con un costo di 350.000.000 euro e gestiti dalla Guardia Costiera.
Entrambi i Radar vengono
posizionati all’interno di parchi naturali e zone a demanio militare per
impedire, dopo i ricorsi al TAR presentati dai Comitati No Radar e comuni, che
si possano bloccare ancora una volta i lavori.

PIANO AMPLIAMENTO DEL PISQ

L’anello di congiunzione
tra NATO 2020 e questo aeroporto sta nella tipologia dei velivoli che
decolleranno dalle sue piste: droni detti anche per gli appassionati di
acronimi UAV (Unmanned Aerial Veicle), cioè quella tipologia di arma che si è
distinta negli ultimi anni per le stragi di civili afgani e pachistani (secondo
fonti non ufficiali, l’80% delle sue vittime è composto dalla popolazione
civile). Il drone si presenta come l’arma per eccellenza contro quelli che i
think tank NATO chiamano “insurgents”, cioè popolazioni insorgenti; non è un
caso, infatti, che Israele usi i droni per uccidere gli oppositori politici
palestinesi, facendone largo uso anche
durante l’operazione di pulizia etnica “piombo fuso”. Il drone rappresenta l’apice tecnologico
militare per la repressione e il controllo di cui si stanno dotando le polizie
europee per il controllo delle periferie “calde” delle metropoli: la
polizia francese utilizza i droni del progetto Elsa per controllare le
instabili periferie parigine, quella inglese usa i droni della British
Aerospace per tenere sotto osservazione Londra e dintorni, la polizia tedesca
ha già usato il drone UAV 4.1000 per filmare e seguire un intero corteo; nel
nord Irlanda, il partito unionista spinge per dotare la PSNI di droni da
utilizzare in funzione antiguerriglia. Quella di Monte Cardiga sarà
probabilmente la più grande pista per droni costruita in Europa, la Sardegna
sarà l’epicentro di uno dei più importanti tentativi di aggiornamento
tecnologico della repressione e del controllo.
Intorno alla nuova pista di Quirra si sviluppa, infatti, il
cosiddetto progetto “ Neuron”, un investimento da 400.000.000 di euro che
coinvolge cinque stati con le loro relative industrie di morte : la Francia con
la Dassault, Italia con Alenia, Svezia
attraverso la SAAB, Spagna con CASA-EDAS e infine la pacifica Svizzera con la
RUAG. Si tratta di una concentrazione di interessi che ha come scopo la costruzione del primo drone armato
europeo. Ma se tanti soldi ci portano a pensare a una “semplice”
speculazione delle industrie militari, in realtà la pista sperimentale sarà un
vero e proprio centro operativo, guarda caso proprio in Sardegna.


I PROGETTI NASCOSTI

Questa fitta ed ampia rete
di sorveglianza rientra nel progetto Forza NEC (Network Enabled capability) che
prevede investimenti pari a 22 miliardi di euro in un periodo di 25 anni,
attualmente siamo già arrivati alla
seconda aliquota da 475 milioni.
Il NEC prevede tra i suoi
progetti anche quello definito “ Soldato del Futuro” dove praticamente ogni
soldato sarà dotato di sensori audio e video che lo trasformeranno in una
piccala centrale di controllo mobile diventando terminale ultimo della funzione
chiamata in gergo NATO C4I
(command, Controll,
Communication, Surveillance,reconnoisance).Dal satellite al drone , dalla
telecamera per strada alla spia con Web cam nulla deve sfuggire alla
pianificazione dello spionaggio interno NATO.

IL RITORNO ALL’ORDINE

Il
Disordine

Isolare
gli insorgenti

Se, come abbiamo visto, la
paura da scongiurare è quella di una generalizzazione del conflitto e una
diffusione della coscienza politica nei rivoltosi, allora anche il sistema
repressivo deve fare la sua parte e fare in modo che il detenuto politico venga isolato dentro e fuori le mura. Tre gli
obiettivi:
* una carcerazione più
sistematica, basata sull’isolamento totale e l’allontanamento dal proprio
contesto di riferimento, mira ad annullare
l’identità del detenuto e a spezzarne la resistenza;
* raccogliere i detenuti
politici per appartenenza ideologica vuol dire evitare possibili dialoghi tra
aree diverse e dall’altro chiudere la discussione entro un circolo
ideologicamente omogeneo che porta con sé stagnazione del confronto,
inasprimento delle diversità e punti di rottura;
* impedire il contatto tra i detenuti politicizzati e i detenuti comuni:
in questo modo si impedisce che il detenuto comune prenda coscienza e si
evitano le rivolte dentro le carceri stile anni ’70, con le quali si portò il conflitto sociale anche dentro le
mura.
Anche in questa
ristrutturazione interna del sistema carcerario, quindi, ricompaiono alcune
direttrici di Nato 2020: individuare il nemico interno, disegnarne un profilo
psico-sociale, isolarlo dal resto del contesto per prevenire un’estensione del
conflitto, rinchiuderlo in ghetti ad alto controllo in cui annullarne
l’identità e il desiderio di cambiamento. “Frantumare
la coesione e la volontà di combattere”, queste le parole di Nato 2020.

(dal 1998), Nato 2020: gli
Stati si devono dotare di un efficiente sistema carcerario in cui rinchiudere
il nemico per isolarlo dal resto della comunità;
(Aprile 2009), Circolare
DAP: nuovo sistema di sicurezza da realizzarsi in carceri insulari;
(Gennaio 2009), Consiglio
del Ministri vara il Piano Straordinario
Carceri: 8 nuove carceri, di cui 4 in Sardegna.
Coincidenze? Sarà..intanto
in una terra che vanta il più alto numero di carceri in proporzione al numero
di abitanti, lo Stato sente la necessità di costruire 4 nuove strutture con
relative sezioni di massima sicurezza. Perché? Una risposta è quella che il
documento Nato 2020 ci ha già fornito, e che lo Stato italiano ha fatto
propria, adeguando il proprio sistema repressivo alla nuova metodologia di
controllo. Ma non basta. Il malessere sociale, come alcuni studi indicano[3], si
acutizzerà anche nell’isola soprattutto a livello urbano e secondo tre
direttrici:
* criminalità nei centri urbani alimentata da un inasprimento della
povertà;
* criminalità nelle zone costiere dove il miraggio del turismo ha
portato cambiamenti d’uso del territorio destinati unicamente al
soddisfacimento dei desideri del turista; in queste zone si acuiranno i
conflitti legati all’economia turistica e la criminalità giovanile legata alla
ricerca del soddisfacimento dei modelli di consumo;
* criminalità nelle zone interne dove disoccupazione, spopolamento e
crisi dei settori tradizionali porteranno le fasce disilluse dalle promesse di
modernizzazione a prendere da sé ciò che gli viene negato.
La costante sarà la
disillusione, ereditata dai padri che vedono sgretolarsi i sogni di benessere e
occupazione, e una nuova consapevolezza: che le politiche di sviluppo,
generosamente finanziate con danaro pubblico, hanno rappresentato occasioni di
ricchezza per pochi e un fallimento per le zone già povere, e che il turismo,
indicato come trainante dell’intera economia, produce una ricchezza che non si
ferma in Sardegna o, quando ciò avviene, favorisce una cerchia ristretta e
ripropone nuovi squilibri territoriali. Tutto ciò renderà più amara e
inaccettabile la condizione materiale di questi “insoddisfatti”, alimentando
così un malessere sociale sempre più radicato e difficilmente gestibile.
Le nuove carceri, quindi, rispondono alla necessità di
isolare gli elementi riottosi provenienti da fuori e, allo stesso tempo, di
gestire le conseguenze di un malessere sociale che in Sardegna ha radici
lontane ma i cui effetti rischiano di esplodere nel presente.


SARDEGNA 2020

Negli ultimi tre anni in Sardegna non è stato
costruito un metro di strada per non parlare di raddoppiare la linea
ferroviaria o addirittura la sua elettrificazione, in compenso tra poligoni,
radar, caserme e carceri sono stati spesi milioni e milioni di euro. Perché?
Speculazione? Non basta a spiegare tutto.
La mera speculazione non
spiega una spesa di 24.000.000 per la costruzione della nuova caserma della Brigata
Sassari a Nuoro, perché rubare 517 ettari di terreno pubblico e scippare
12.000.000 all’edilizia universitaria per costruire una caserma reggimentale
nel bel mezzo della Barbagia? Che senso ha per un reparto come quello della
Brigata “SS” che si è prestato per ogni missione imperialista dell’esercito
italiano? Visto che si è divertita a portare la democrazia a colpi di fucile in
ogni angolo del pianeta non sarebbe stato più logico costruire una struttura
del genere vicino a porti o aeroporti o comunque vicino a un punto che rendesse
gli spostamenti più facili …. Insomma dal punto di vista logistico, comunque la
si guardi, quella caserma in quel posto non ha alcun senso, a meno che…
A meno che non abbia un
altro scopo, e lo scopo è quello di “….modellare, gestire lo spazio per
ottimizzare la mobilità dei militari sia per esigenze tattiche sia per
controllare e prevenire i movimenti del nemico e delle masse non coinvolte nei
combattimenti..”[4] . La Sardegna non ha grandi slum o periferie
irrequiete, ma ha grandi territori che storicamente risultano poco disposti a
sottoporsi alla “ rule of law”. E allora, come controllare un territorio vasto
con una popolazione dispersa? Semplice,
si moltiplicano i centri di controllo non più, come in passato, solo nelle zone
a rischio, ma in ogni punto dell’isola affinché sia dominata da un’immensa rete
di controllo; le sentinelle del potere saranno negli angoli delle strade,
perché il malessere si diffonderà anche nei centri urbani, dalle zone del
turismo a quelle dove cresce la disoccupazione giovanile; saranno nelle zone
interne storicamente insofferenti alla presenza dello Stato, ma anche sulle
coste. Tutto ciò risponde a una semplice
necessità: se il malessere si diffonde,
se il rischio di rivolta non è più circoscritto ad alcune zone calde, allora il
controllo dovrà essere capillare e si dovrà dotare di tutti i nuovi e vecchi
sistemi per reprimere e continuare a dominare.
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